Quintetto per pianoforte in la maggiore

B155, Op. 81

Se da buon violista amò e compose cameristica per tutta la vita, col Quintetto per pianoforte Dvořák riuscì a esaltarne le idee e le emozioni a una dimensione e a un livello che non avrebbe mai più raggiunto. Il suo primo tentativo, immediatamente accantonato, di combinare un quartetto d’archi con un pianoforte risaliva al 1872, quindici anni prima dell’estate in cui, ritenendo che il lavoro meritasse una seconda chance, si rifugiò a Vysoká, a sudovest di Praga, e iniziò a rielaborare l’opera. Nella quiete della campagna, tra gli affetti familiari e gli amati piccioni, la revisione prese la forma di un Quintetto per pianoforte totalmente nuovo in quattro movimenti, con ampie effusioni melodiche illuminate da sprazzi dei danzanti ritmi boemi non estranei alla fantasia e all’immaginario dell’autore. L’apertura del primo, ‘Allegro, ma non tanto’, con violoncello e piano è emblematica dell’abitudine dvořákiana di utilizzare i cinque elementi in combinazioni più ristrette e intime. La seconda sezione è invece una ‘Dumka’, un canto popolare slavo che alterna momenti di lamento a esplosioni sostenute. Il guizzante ‘Furiant’ ceco del terzo, mitigato da una parte centrale idilliaca, precede l’irrefrenabile sfogo di un finale ribattezzato ‘Allegro’, ma evidentemente disegnato su un motivo principale che cita la vorticosa skočna: musica per il cuore, lo spirito e i piedi.

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