Concerto per violoncello in mi minore

Op. 85

Diversamente da molti connazionali, Elgar vide immediatamente lo scoppio della prima guerra mondiale come una calamità. In quel periodo, scrisse diversi lavori patriottici, senza tuttavia riuscire a mettere in campo il fuoco e la convinzione della produzione prebellica. Composto poco dopo il termine del conflitto, il Concerto per violoncello esprime con chiarezza la sua reazione alla devastazione di un mondo che un tempo pensava di conoscere. Piuttosto che richiamare la replica tipicamente tardo-romantica di un’orchestra montante, il vigoroso recitativo solista in apertura trova risposta in un modesto quartetto di fiati guidato da un clarinetto impegnato in un’interlocuzione lamentosa, chiusa da un tenue accordo degli archi. Il tema spettrale prodotto da questi ultimi si aggiunge alle sconsolate frasi interrogative dello strumento protagonista nell’evocare un senso di ingresso in un territorio desolante e inesplorato. Segue una sorta di passaggio del motivo, raccolto e utilizzato per trascinare l’ensemble in una dimensione appassionata. La giocosa brillantezza del secondo movimento lascia spazio alla pallida malinconia della delicata contemplazione nella terza sezione. Se la partenza cupa del finale sembra il preludio a un’esuberante conclusione, la musica del violoncello mostra i segni di una disperazione inconsolabile e dà sfogo all’angoscia fin qui contenuta dal nobile stoicismo dell’opera, prima che un improvviso ritorno della danza faccia calare il sipario.

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