Rapsodia su un tema di Paganini

Op. 43

La feroce accoglienza riservata all’amorfo Concerto per pianoforte n. 4 del 1926 e i tormentati recital delle Variazioni Corelli del 1931 diedero a Rachmaninoff un segno di come il pubblico americano non fosse incline ad apprezzare lavori di tali proporzioni. Tuttavia, con una joie de vivre à la Gershwin e variazioni straordinariamente fantasiose, la Rapsodia su un tema di Paganini vide il compositore riacquisire la piena forma. Tripudio di vivacità cromatica, l’ultimo dei 24 capricci per violino solo (1817) che fornisce la base per l’opera aveva già ispirato riproposizioni di Liszt e Brahms e avrebbe in seguito solleticato l’immaginazione di Lutosławski e Lloyd Webber. Infarcito di fiorettature retoriche pensate per esaltare il virtuosismo del solista, quello che sembra un concerto per pianoforte si apre con una breve introduzione, seguita da una variazione inaugurale in anticipo sulla presentazione del tema stesso, forse un giocoso riferimento al finale della Sinfonia Eroica di Beethoven. L’atmosfera cambia però con la sesta, dove incontriamo il primo accenno al tetro motivo del Dies Irae, una popolare melodia gregoriana che riaffiora in altri due momenti e nella conclusione. Lo spunto originale è stravolto per i nostalgici sfoghi della 18esima (‘Andante cantabile’): una meravigliosa dimostrazione di ingegno compositivo che offre una riflessione sognante, che lascia poi spazio alla corsa verso la sfolgorante chiusura.

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