La riflessività post-bellica di Elgar e l’ottimismo di Anna Clyne permettono a Inbal Segev di sfoderare le proprie qualità espressive, esaltate dal timbro di un violoncello del 1673. Separati da 100 anni, i due lavori condividono un calore e un’anima romantica senza tempo, giustificando un accostamento solo all’apparenza azzardato: se i movimenti dell’opera ispirata ai versi del poeta persiano Rumi sono un invito a danzare nella sofferenza e nella libertà, il vivido approccio al concerto del maestro inglese rinnova le tensioni e l’entusiasmo per l’ingresso in un mondo irreversibilmente mutato.