Hymns of Bantu

Esattamente come il poeta William Blake, che sapeva scoprire un mondo intero in un granello di sabbia, Abel Selaocoe è in armonia con le sconfinate profondità della mente umana. Violoncellista, compositore e cantante, il poliedrico artista sudafricano articola sentimenti ed emozioni di grande intensità in una moltitudine di stili musicali che trascendono le differenze geografiche e culturali. Il suo secondo album, Hymns of Bantu, è straordinariamente ricco di danze pulsanti, canti estatici, lamenti spirituali e gioiose espressioni d’amore: in altre parole, riflette l’intangibile e commovente materia della vita, tratta da continenti e secoli diversi. “Penso che questo disco abbia a che fare con verità universali”, dice Selaocoe a Apple Music Classical. “Parla di cose che chiunque può comprendere, ma contiene anche brani strettamente legati al contesto del mio luogo di provenienza e della mia cultura. Ecco perché comincio l’album con Tsohle Tsohle, un pezzo il cui titolo potrebbe essere tradotto come ‘tutto è connesso’. Francamente, se in Sudafrica entri in un taxi con altre 14 persone e chiedi se ce n’è qualcuna tra loro che conosce Tsohle Tsohle, ti trovi di fronte a 14 mani alzate! È incredibile quanto il brano sia noto, da quelle parti”. L’interpretazione del musicista è una proiezione del suo desiderio di dare nuovo significato a pezzi che lo accompagnano sin dall’infanzia, puntando soprattutto a estrarre un senso universale dal particolare. “Tsohle Tsohle vuole dire che tu fai ogni cosa a tua immagine”, spiega. “Volevo parlare di aspetti universali, piuttosto che mettere in evidenza la specificità di ciò che faccio”. Selaocoe ha scritto un nuovo testo per Emmanuele, un’altra famosa canzone sudafricana, legandone il carattere di potente inno a parole che celebrano le persone che lavorano con le mani. “È una cosa importante per la realtà del Sudafrica, perché gran parte della popolazione si guadagna da vivere in quel modo. È qualcosa di molto diverso dallo stare di fronte a un computer”. Il Manchester Collective porta in Hymns of Bantu la propria energia e la disinvoltura nel confronto con diversi generi, contribuendo a cambiare il tono dell’album dalle vivaci tracce d’apertura a Tshepo (“Fede”), la cui seconda devozionale parte, Rapela, ha un che di ritualistico e prepara il terreno per una suggestiva sequenza che comprende l’austera ‘Sarabanda’ della Suite n. 6 per violoncello di Bach, arrangiata per violoncello e archi da Fred Thomas, l’inebriante combinazione di percussioni tintinnanti, stile pizzicato, piano preparato e canto gutturale di Dinaka e infine Voices of Bantu, l’ipnotica improvvisazione di Selaocoe su Les voix humaines di Marin Marais, compositore francese del 17esimo secolo. Nonostante le ovvie differenze stilistiche, ogni lavoro condivide con gli altri presenti sull’album il linguaggio dell’armonia in quattro parti. Abel Selaocoe nota come i canti religiosi del Sudafrica e l’elegante danza Takamba, coltivata dai popoli del Mali e del Niger, abbiano assorbito influenze musicali giunte in Africa durante il periodo dell’espansione coloniale europea. “In qualche modo, nel corso del tempo, mondi diversi sono entrati in collisione attraverso il colonialismo”, osserva. “Hanno iniziato a parlare idiomi simili, e quegli idiomi sono stati stravolti. Alcune delle linee di basso di Marais le avevo già sentite nella musica sudafricana, in forme molto semplici e contesti completamente differenti. Ma in qualche maniera, metaforicamente, questa idea che ora stiamo cantando con le stesse armonie finisce per essere il collante che tiene tutto insieme”. Un’altra figura che supera i confini culturali con estrema naturalezza è Giovanni Sollima. L’album include due movimenti di L.B. Files, un montaggio di melodie che l’ineffabile compositore e violoncellista italiano ha tratto dal lavoro del suo corrispettivo settecentesco, Luigi Boccherini. “Sollima è un tripudio di influenze. Penso che l’autenticità non equivalga all’originalità assoluta. È piuttosto la capacità di fondere insieme migliaia di influenze, dichiarandone con onestà la provenienza e celebrandole con gioia. Quando riesce a fare questo, penso che una persona raggiunga la versione migliore di se stessa. Ed è esattamente il tipo di autenticità che ritrovo in Sollima: ama le influenze e non le nasconde”. Hymns of Bantu offre prospettive inedite sulle antiche tradizioni, tanto sul piano musicale quanto su quello spirituale. Abel Selaocoe paragona la filosofia dell’album a quella del candomblé, con la sua mescolanza di devozione tradizionale africana, cultura indigena latinoamericana e influenze cattoliche. “Non dovremmo confondere la religione con il nostro umano desiderio di capire ciò che ci circonda e quello che c’è in noi”, afferma. “Non c’è modo di aggirare il problema. Piuttosto, dovremmo attuare una riflessione, perché la vita ti lancia sfide continue e ti mette nella condizione di dire ‘Non ho il controllo di alcun tipo di destino’. Chi è che comanda, ammesso che esistano entità con questo potere? E come convivo con l’idea di una continua spontaneità che non posso sempre controllare? Penso sia una parte fondamentale dell’appartenenza al genere umano. Non possiamo ignorarlo, e credo che questa comprensione della natura delle cose tenga viva una sorta di spiritualità universale”.