Kunst der Fuge

BWV1080 · “L'arte della fuga”

La straordinaria esplorazione operata da Bach con intelletto ed emozione è un mistero che stimola più domande che risposte. Aveva in mente qualche strumentazione particolare quando scriveva in partitura aperta? E se sì, quale? È musica per gli occhi o per le orecchie? Che dire del ‘Contrapunctus XVIII’, finale incompiuto che spinge verso la progressione di si bemolle / la / do / si naturale, che nella notazione usata anche in Germania corrisponde curiosamente a un cifrato B.A.C.H.? La pubblicazione postuma del 1751 ci lascia una brusca chiusura e l’aggiunta di un preludio corale d’organo, presumibilmente dettato dal cantore di Lipsia sul letto di morte. Questo capitolo era davvero destinato alla raccolta? Chi studia e indaga è convinto che L’arte della fuga non sia realmente un canto del cigno: il progetto potrebbe essere partito prima del 1740 e una versione preliminare precede di circa cinque anni la morte dell’artista. Il soggetto a quattro battute che apre BWV 1080 tende a catalizzare tutto il seguito, con Bach che alla maniera di Paul Klee ne porta a spasso la linea per ribaltarla, ripensarla al contrario o in una doppia fuga combinata a un nuovo tema, cambiandone la velocità in un soliloquio. L’opera non è mero sfoggio di ambizione, ma è musica che trasmette dramma, maestosità e contemplazione, come un saggio di artigianato compositivo, ingegno e ristoro spirituale.

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