Handel: Messiah

La registrazione dal vivo del 2006 in cui Colin Davis dirige il celebre oratorio di Händel ritrova nuova vitalità grazie all’audio spaziale che amplia e avvolge il suono di questa esecuzione di ampio respiro. Non si tratta però di un Messiah “tradizionale”, nonostante l’andamento solenne della Sinfonia di apertura. Ben presto, all’interno di quel movimento, gli archi scompaiono improvvisamente lasciando emergere un nucleo di assoli, quasi un omaggio a un concerto bachiano, e il contrasto introduce una tensione drammatica che sorprende e risveglia. Chi ama un Messiah denso e liricamente caldo troverà comunque pane per i suoi denti. Nell’aria solista che segue, il tenore Mark Padmore rinuncia a qualsiasi abbellimento sul suo ‘Comfort ye’ non accompagnato e diverse arie della Parte I (che annunciano l’arrivo del Messia) sono affidate a un contralto invece che al più consueto controtenore. Sara Mingardo è monumentale nel grande lamento ‘He was Despised’ della Parte II e, accanto a lei, la soprano Susan Gritton, il basso Alastair Miles e lo stesso Padmore mantengono un livello espressivo costante e raffinato. Eppure, come già accennato, questa è un’esecuzione tutt’altro che prevedibile. All’inizio della Parte II, in ‘Behold the Lamb of God’, Davis ignora il consueto forte, non avallato da Händel peraltro, e impone a coro e orchestra un’attitudine raccolta, quasi ferita da ciò che stanno narrando. Non mancano inoltre tocchi ornamentali inattesi ma pertinenti, come la coda orchestrale che chiude ‘O Thou That Tellest’. Il coro Tenebrae sfoggia la consueta precisione incisiva, unita però a un coinvolgimento emotivo che rivela un rinnovato dialogo con un testo messo in musica con tanta empatia e teatralità.